Nello spirito del Giubileo

 

 

Fede e storia sul confine lungo i secoli nei santuari dedicati alla Madonna.

La tradizione della messa alla Castagnavizza e le teorie di pellegrini al Monte Santo.

Il nostro territorio ha visto, nel corso dei secoli, il sorgere di santuari legati soprattutto alla devozione mariana. L’occasione per una visita a questi luoghi della fede popolare contribuisce anche a conoscere la storia di queste terre.

 

 

Il santuario di Castagnavizza

Partendo da Gorizia, un primo possibile itinerario tra i tanti individuabili è a cavallo del confine con la Slovenia. A pochi minuti dalla città sorge il santuario della Beata Vergine della Castagnavizza, facilmente raggiungibile seguendo le indicazioni turistiche che partono proprio dal valico confinario della Casa Rossa. Molto più suggestiva è l’ascesa a piedi che può partire anche, alcune volte all’anno, dalla via Cappella, a Gorizia, e che in una ventina di minuti conduce al Santuario. Grazie all’interessamento del Consiglio di Quartiere Montesanto-Piazzutta, da anni ormai è stata ripristinata, con la disponibilità delle autorità confinarie dei due Paesi, la salita al santuario partendo dalla via Cappella, senza dover attraversare un valico confinario. Si tratta di una occasione che i goriziani hanno accolto con grande soddisfazione in quanto, soprattutto gli abitanti della zona nord della città, fino alla seconda guerra mondiale erano soliti frequentare la messa domenicale alla Castagnavizza (soprannominata "la Capela"). Generazioni di parrocchiani di Sant’Ignazio hanno ricevuto Prima Comunione e Cresima in quella chiesa.

La nascita della Castagnavizza risale al sec. XVII. I lavori di costruzione della chiesa furono iniziati per merito del conte Mattia della Torre negli anni 1623-25. La chiesa, consacrata tra il 1640 e il 1648, fu ampliata dal 1661 e il 1665, ma i lavori continuarono anche all’inizio del Settecento. Dal 1662 la chiesa fu retta dai Padri Carmelitani rimasti alla Castagnavizza fino al 1785, quando il Convento fu soppresso dall’imperatore Giuseppe II. Nel 1811 furono trasferiti alla Castagnavizza i Francescani del soppresso convento del Monte Santo, fino ad allora ospitati in città nel Convento (venuto a cessare come il loro) dei Minori Conventuali. Nel 1821 fu aperto uno studio filosofico per gli allievi francescani che dal 1840 fu frequentato anche dai Cappuccini; ancor oggi la chiesa è retta dai Padri Francescani. Nel 1836 nella cripta della cappella fu sepolto Carlo X di Francia (esule per l’Europa dopo i moti rivoluzionari del 1830); proprio in quell’anno si era stabilito a Gorizia, dove morì di colera solo poche settimane dopo il suo arrivo. Si dice che il re esiliato (dimorava nella villa Coronini) fosse stato colpito dalla vista del santuario e che avesse espresso la volontà di visitarlo e di eleggerlo a sua ultima dimora.

 

 

Monte Santo

Se il santuario della Castagnavizza è strettamente legato alla città di Gorizia, quello di Montesanto ha sempre svolto un ruolo, molto più vasto e importante, di incontro tra popoli diversi nel nome della devozione alla Vergine. È stato già rilevato che "nelle regioni di frontiera i santuari mariani non sono solo centrali di vita spirituale e di fervore religioso, ma anche punti di incontro ed occasioni per una migliore reciproca conoscenza e perciò di affratellamento fra popoli confinanti o conviventi sullo stesso suolo".

Montesanto ha rappresentato un punto di incontro di fedeli italiani, sloveni e friulani che organizzavano pellegrinaggi ancor oggi ricordati per la partecipazione corale di interi paesi. Nell’Ottocento i pellegrini giungevano con i carri, partendo dai vari paesi del Friuli orientale: Medea, Cormòns, Mariano, Corona, Lucinico… Man mano che ci si avvicinava a Gorizia, nuovi pellegrini si aggiungevano, rendendo sempre più imponente il corteo che si accingeva alla salita da Salcano. Le molte descrizioni di questi pellegrinaggi sottolineano sempre che quel tipo di manifestazione di fede popolare recava con sé anche il significato della festa. Attorno alla chiesa si sistemavano i venditori ambulanti di oggetti ricordo come santini e medagliette. La grande devozione per la Madonna del Montesanto, raffigurata in un quadro donato nel 1544 dal patriarca Marino Grimani, è dimostrata dal numero straordinario di fedeli che da sempre raggiungono il santuario.

 

 

Storia del santuario di Monte Santo: tra devozione e devastazioni

Già nel 1596 l’arcidiacono di Gorizia segnalò di aver dovuto celebrare la messa all’aperto: il numero di pellegrini era così numeroso da non poter entrare in chiesa; nessuno era disposto a tornare a casa senza aver assistito alla celebrazione.

Nel 1717 il quadro della Vergine, che racchiude nei suoi spostamenti le vicende spesso tormentate del santuario, fu portato a Gorizia dove l’effigie fu incoronata. I documenti parlano di una folla valutata in 130mila persone che assistettero alla cerimonia. Quando il convento del Montesanto fu soppresso (1786), il quadro della Madonna venne trasferito nella chiesa di Salcano dove rimase fino al 1793 quando venne riportato al santuario. Tra i pellegrinaggi del secolo scorso fece grande scalpore quello del 2 settembre 1872. Allora i presenti furono in un numero tra i quaranta e i cinquantamila. Era il momento in cui anche i cattolici del Litorale andavano prendendo coscienza della necessità di una loro presenza più incisiva nei confronti della società.

Nel 1870 era stato costituito il Circolo cattolico goriziano che l’anno successivo inziò la pubblicazione del giornale "Il Goriziano". Dal febbraio del 1872 vennero organizzati in tutto l’Impero pellegrinaggi che avevano anche lo scopo di testimonianza di amore e solidarietà al pontefice, Pio IX. Per la diocesi goriziana la data venne fissata al 2 settembre. Il solenne inizio del pellegrinaggio venne annunciato dalle campane della metropolitana. Il nucleo principale del corteo, formato da sacerdoti, autorità e cittadini di Gorizia, si mosse dal duomo alle 4 del mattino. A questi si aggiungevano via via altri fedeli che si erano radunati nella piazza grande e in altri luoghi cittadini: pellegrini di Trieste, di Udine, Cividale, dei vari decanati diocesani fino a raggiungere il numero di almeno quarantamila che impiegarono cinque ore per raggiungere il santuario. Allo scoppio della prima guerra mondiale il quadro della Madonna venne nuovamente portato in altro luogo, mentre la chiesa e il convento furono praticamente rasi al suolo dagli eventi bellici. Già nel 1922, costruita una cappella provvisioria, il quadro potè ritornare sul Monte Santo; questa nuova ascesa della effigie della Madonna fu accompagnata da sessanta, settantamila persone. Nuovi echi di guerra si fecero ben presto sentire e per la Madonna del Montesanto questo significò nuovi esilii (Roma, poi Lubiana, Belgrado e solo nel 1950 finalmente di nuovo nel suo santuario). Con la seconda guerra mondiale, il santuario è rimasto oltre confine, ma è sempre meta per i fedeli di queste terre. Con l’intensificarsi dei rapporti di buon vicinato, prima con la Jugoslavia ed oggi con la Slovenia, il santuario di Montesanto si è confermato come simbolo di unità per i popoli che vivono al di qua e al di là del confine, in nome della fede e di una comune tradizione con le radici nella origine stessa del santuario.

 

 

Le "scandalose" processioni al San Valentin

La visita a Montesanto può diventare occasione per una breve salita al San Valentin che gli è di fronte. Là si possono vedere gli scavi archeologici che hanno riportato alla luce le vestigia della chiesa e del convento che erano proprio sulla vetta. Anche questa chiesa che aveva tre altari, il maggiore dedicato alla Vergine e gli altri due a San Valentino e San Barnaba, era meta di pellegrinaggi da tutto il Friuli orientale già nel Cinquecento.

Durante una visita pastorale effettuata nel 1759 dal primo arcivescovo di Gorizia, Carlo Michele d’Attems, il vicario di Capriva, Francesco Sion, auspicava che venisse eliminata l’annuale processione della parrocchia di Capriva al San Valentin, in quanto troppo lunga e occasione di scandalo tra i fedeli. Lo spettacolo che si gode dal San Valentin racchiude in sé tanti significati per gli abitanti di queste terre. È paradigma di territori che hanno subito violenze, guerre, sopraffazioni, sui quali gli uomini si sono più volte scontrati. Allo stesso tempo ha riunito nella fede, o anche solo nella tradizione culturale, generazioni di uomini. La natura straordinaria che lì si incontra, piccolo universo che racchiude varietà d’alta montagna con altre tipiche della pianura e del mondo mediterraneo, chiama anch’essa ad una sintesi culturale che sappia cogliere quanto di meglio ognuno dei popoli che qui vivono può dare: quella natura, quel mondo senza confini, troppo grande per poterlo costringere in barriere innaturali, è racchiuso nelle parole che Carlo Michelstädter scrisse dal San Valentin, nel febbraio del 1910, all’amico Enrico Mreule: "arde l’ultimo fuoco… tutto intorno è neve, guardiamo la rovina attraverso il fumo… partiamo –che è già calata la sera– e ti salutiamo insieme al nostro monte e all’orizzonte che è suo".

 

Inizio pagina


© 1999-2010 CyberQual s.r.l.